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BUONI FRUTTIFERI POSTALI SERIE AF: LA PRESCRIZIONE

La data di scadenza di ciascun buono vada individuata nell’ultimo giorno (31 dicembre) del quattordicesimo anno solare successivo a quello dell’emissione, con ciò applicando un orientamento già utilizzato per buoni postali di altre serie anche a quelli della serie AF, questo il principio sancito dall’ABF. Ancora una volta viene sconfessato in giudizio l’impianto argomentativo di Poste Italiane che sul punto sta ponendo in essere comportamenti altamente scorretti nei confronti dei consumatori, già al vaglio dell’Antitrust per verificarne la compatibilità con la normativa consumeristica di riferimento.

L’Arbitro Bancario Finanziari ha stabilito che il risparmiatore titolare di buoni fruttiferi a termine della serie AF ha diritto al rimborso delle somme investite presentando la richiesta entro dieci anni dall’ultimo giorno del quattordicesimo anno solare successivo a quello di emissione dei buoni.

L’ABF ha dunque rafforzato la tutela dei titolari di buoni serie AF, come già accadeva per altre serie di buoni, in quanto viene esteso il diritto di ottenere il rimborso del capitale e dei rendimenti a chi lo esercita entro il termine di dieci anni dalla scadenza dei buoni che deve essere calcolata a prescindere dal riferimento al giorno e al mese precisi di emissione, bensì esclusivamente all’anno solare di emissione

ENTRO QUANDO LA BANCA DEVE FORNIRE AL CORRENTISTA GLI ESTRATTI DEL CONTO CORRENTE BANCARIO?

COMMENTO A CURA DELLA DR.SSA ARIANNA PROSERPIO

Con la decisione n. 6887 del 03/05/2022 il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario ha affermato il principio di diritto per cui “il diritto del titolare di un conto corrente bancario ad avere copia dei relativi estratti è limitato al periodo degli ultimi dieci anni”.

L’art. 119 T.U.B., rubricato “Comunicazioni periodiche alla clientela”, all’ultimo comma stabilisce che “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”.

Nel caso di specie il Collegio remittente aveva evidenziato che nel conto corrente bancario gli estratti conto possono essere redatti esclusivamente dalla banca e, di conseguenza, il cliente si trova in una posizione di svantaggio dal punto di vista della conoscenza dei contenuti di tali documenti. In virtù del principio generale di buona fede, la banca sarebbe gravata da un obbligo di collaborazione documentale e da un obbligo di protezione nei confronti del correntista. Il Collegio remittente sottolineava, inoltre, che il diritto del cliente ad avere copia della documentazione non potrebbe riguardare soltanto una frazione temporale del rapporto contrattuale tra le parti in considerazione della peculiare unitarietà del conto corrente bancario e che, nel caso in cui si ritenesse applicabile l’art. 119 TUB, tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso che il cliente avrebbe diritto agli estratti dei conti correnti bancari che sono stati definitivamente chiusi nei dieci anni che precedono la sua richiesta.

Il Collegio di Coordinamento, con la decisione di cui si tratta, ha innanzitutto rilevato un contrasto tra i collegi territoriali:

– con svariate decisioni il Collegio di Roma aveva affermato che: “La produzione di estratti conto non è soggetta al limite decennale di cui all’art. 119, ult. comma, t.u.b. e l’intermediario è tenuto a consegnare alla ricorrente la documentazione anteriore” (Collegio di Roma, decisioni n. 5781 del 3 marzo 2021; n. 6137 del 7 marzo 2021; n. 3274 del 28 febbraio 2020; n. 24320 del 6 novembre 2019);

– altri Collegi territoriali, invece, avevano ritenuto che il termine decennale fosse applicabile anche alla richiesta di copia degli estratti del conto corrente (Collegio di Milano, n. 3844 del 16 febbraio 2021; Collegio di Torino, decisioni n. 18396 del 21 ottobre 2020 e n. 19840 del 26 settembre 2018; Collegio di Palermo, decisione n. 10511 del 12 giugno 2020; Collegio di Bologna, decisione n. 16516 del 12 dicembre 2017).

Il Collegio di Coordinamento, nel dirimere la questione, ha rinviato alla precedente decisione n. 15404 del 22/06/2021, la quale ha ritenuto preferibile che l’art. 119 ultimo comma TUB venga applicato anche agli estratti conto conformemente alla recente giurisprudenza di legittimità.

BONIFICO EFFETTUATO A IBAN SBAGLIATO, E’ POSSIBILE CONOSCERE I DATI DEL RICEVENTE?

COMMENTO A CURA DELLA DOTT.SSA ARIANNA PROSERPIO

Con la decisione n. 6886 del 03/05/2022 il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario ha stabilito la possibilità di conoscere i dati anagrafici o societari del beneficiario di un bonifico disposto indicando erroneamente l’IBAN del ricevente. 

La decisione risulta essere di notevole rilevanza dal momento che il Collegio di coordinamento decide i ricorsi che riguardano questioni di particolare importanza o che hanno generato contrasti interpretativi tra i Collegi territoriali. Inoltre, il Collegio di coordinamento stabilisce principi di diritto che i Collegi territoriali sono tenuti a seguire per decidere futuri ricorsi sulla medesima questione. 

Nel caso di specie il Collegio ha enunciato i seguenti principi di diritto:

1. “quando a causa dell’erroneità dell’IBAN l’ordine di bonifico sia stato eseguito a vantaggio di un terzo non legittimato a riceverlo, il pagatore ha il diritto di conoscere dal prestatore di servizi di pagamento dell’accipiens i dati anagrafici o societari di quest’ultimo”;

2. “in tal caso, il prestatore di servizi di pagamento dell’accipiens non può invocare la tutela della privacy al fine di giustificare il suo rifiuto di comunicare al pagatore i dati anagrafici o societari del proprio correntista”.

Entriamo ora nel dettaglio della decisione. 

Il Collegio ha ritenuto che è necessario che il pagatore possa conoscere l’identità del ricevente in modo tale da poter concretamente pretendere la restituzione dell’indebito pagato. Nel caso di specie, infatti, non può ritenersi prevalente l’esigenza di tutelare il c.d. segreto bancario dal momento che altrimenti si incorrerebbe nella violazione del precetto di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Costituzione.

Le Disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia hanno previsto che “per ogni operazione di pagamento eseguita, rientrante o meno in un contratto-quadro, l’intermediario consegna tempestivamente al pagatore e al beneficiario una ricevuta contenente rispettivamente le seguenti informazioni: a) per il pagatore, un riferimento che gli consenta di individuare ogni operazione di pagamento e, se del caso, le informazioni relative al beneficiario”. Il 2° comma dell’art. 24 del Dlgs n. 11/2010 statuisce che: “il prestatore di servizi di pagamento del beneficiario è tenuto a collaborare, anche comunicando al prestatore di servizi di pagamento del pagatore ogni informazione utile”.

Tali disposizioni consentono di ritenere che il pagatore abbia diritto di conoscere dal prestatore di servizi di pagamento del ricevente i dati anagrafici o societari di quest’ultimo. Le informazioni contenute nell’ordine di bonifico (nome del beneficiario, causale del versamento) possono invero risultare utili per dimostrare il carattere indebito del pagamento effettuato. 

Per quanto concerne il c.d. segreto bancario, il prestatore di servizi di pagamento del ricevente non può invocare la disciplina del trattamento dei dati personali al fine di giustificare il suo rifiuto di comunicare al pagatore i dati anagrafici o societari del proprio cliente. Il Collegio ha infatti evidenziato che ai sensi dell’art. 9, paragrafo 2, lett. f), GDPR, il trattamento di “categorie particolari di dati personali” non è vietato quando esso sia “necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”. Anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “l’interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, tra i quali l’interesse, ove autentico e non surrettizio, all’esercizio del diritto di difesa in giudizio” (Cass., 13 dicembre 2021, n. 39531).