E’ argomento difensivo spesso utilizzato dalle Banche quello per cui la verifica dell’usurarietà di un contratto debba condursi non soltanto sul programma negoziale, come è stato previsto, ma anche come è stato attuato nello svolgimento successivo, con la conseguenza che sono del tutto giuridicamente irrilevanti gli scenari non verificatisi nè mai più verificabili (ad esempio applicazione degli interessi di mora).
A tale tesi si può agevolmente controbattere, richiamando il dato testuale dell’art. 644 cp: è necessaria la verifica del supero del tasso “soglia” nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti.
Se dunque per la legge penale basta a configurare il reato di usura la promessa, va da sè che, contrariamente a quanto sostiene la banca, debbano essere considerata anche tutte le ipotesi eventuali che non si sono concretamente verificata ma si sarebbero in astratto potute realizzare.
E del resto va ricordato che l’usura è reato di pericolo che punisce anche la sola promessa di pagare costi usurari: ne consegue che ai fini della sussistenza dell’illecito usurario (penale o quanto meno civile) è sufficiente la semplice stipula della clausola senza necessità che il fatto ivi ipotizzato si concretizzi (danno), ovvero senza la necessità che il cliente paghi il costo (TAEG) usurario convenuto; dunque l’effettiva datio non ha alcuna rilevanza giuridica e costituisce un quid pluris, che può esservi o meno, rispetto ad un illecito già perpetrato, poiché “quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta.
In buona sostanza, il “pericolo” proprio dell’usura e“la potenzialità” di incassare costi usurari, costituiscono un binomio inscindibile nell’ottica della normativa antiusura.